KATLA
“Colui che non sa che cos’è il mondo non sa dov’è lui stesso, e chi non sa per quale finalità esiste il mondo, non sa chi è né che cosa sia il mondo.” Marco Aurelio (VIII,52) CAPITOLO 1 Giulia Una luce intensa aveva sfondato il tetto
grigio delle nuvole e sprofondava misteriosamente nel centro del cerchio
attirata da una forza irresistibile. Deve essere la presenza di un buco
nero che divora anche la luce, pensò Luca mentre diventava prigioniero
di quella forza e si aggrappava disperatamente ad una roccia. Era il destino
impietoso che lo aveva spinto fino a quel punto: la fine del viaggio,
la fine della sua ricerca e della sua vita. La figura al suo fianco si
mosse, con passo lento prima, correndo poi verso un vortice che la sollevò
da terra e la consumò in una fiammata. Adesso era rimasto solo
con un gusto amaro e in un’attesa inutile. Lui e la roccia che si
sbriciolava, inesorabilmente. Poi tutto diventò buio, come le notti
d’inverno quando i suoi genitori lo lasciavano solo a combattere
i dèmoni che si nascondevano nell’ombra. Silenzio…
un ronzio nelle orecchie, poi un rumore assordante come un tuono che esplodeva
vicino e continuava il suo eco tra le pareti della stanza, riempiva tutto
lo spazio e penetrava nella sua testa. Sospeso nel vuoto senza luce, precipitava
al fondo di un burrone. |
petto e lo costringeva a respirare
affannosamente. Cercò di calmare i battiti del cuore e di scacciare
le immagini che lo avevano terrorizzato; era già successo che le
visioni dei sogni erano state premonitrici di un evento che aveva sconvolto
la sua vita; chissà cosa nascondeva questo.
Spesso si svegliava in preda ad un incubo, ma questa volta il rumore c’era davvero; si fece più distinto e si trasformò in un leggero russare ritmato. Era l’aria che, costretta a passare per gli stretti anfratti del naso semi otturato, doveva raggiungere i polmoni e faceva vibrare le corde vocali per poi disperdersi, modificata, nell’altra aria. Allungò il braccio con il timore di dover continuare il sogno. C’era una donna sdraiata accanto a lui, era addormentata e russava leggermente. Per uscire dall’orrore dell’abisso in cui era precipitato aprì gli occhi e vide il seno che si sollevava e si abbassava al ritmo del respiro. Fece uno sforzo per ricordare dove l’aveva incontrata. Era andato al “Garden”, un disco-pub, per annegare la sua solitudine nell’atmosfera colorata dalle luci ultraviolette che fanno brillare il bianco delle camicie come delle enormi lucciole nel buio della notte. Era, come sempre, alla ricerca di una madre-amante e dopo il terzo whisky, aveva trovato la nebbia pietosa che nascondeva i dettagli che non voleva notare. Osservò attentamente il volto sul cuscino; era del tutto sconosciuto, non se lo ricordava più! Eppure quella donna era là, senza alcun pudore, nuda e incolore, nel suo letto. La luce penetrò anche nel ricordo e man mano che il torpore scompariva, ricordò il suo nome, Giulia. La delusione e l’amarezza si manifestarono come sempre: dopo l’illusione e la passione che avevano acceso i suoi desideri alla vista di un volto sfocato dall’oscurità e dall’alcol, arrivava la triste realtà. Rivide l’atmosfera rarefatta del pub: stava seduta al bancone del bar, una luce tenue mostrava appena i tratti del viso, che aveva trovato interessante. Le aveva offerto una birra, lei aveva rifiutato disinteressata. Quel rifiuto aveva accentuato il desiderio e l’aveva fatta diventare più attraente. 2 |
Lei era intenta ad osservare un giovane
dall’aria macho che beveva una birra dalla bottiglia e aveva un
giubbotto di pelle con bottoni argentati e striscioline sulle maniche,
fronzoli da finto cow-boy. Era poi arrivata una ragazza bionda con un
piercing sul labbro inferiore; un piccolo anello con un cristallo trasparente
scintillava quando parlava. I due si erano baciati con passione e Giulia
aveva finalmente deciso che l’energumeno era inaccessibile e aveva
accettato il bicchiere che le offriva Luca.
Avevano parlato di cose banali, del tempo, della sua parrucchiera, che sceglieva sempre come acconciarla e persino i colori delle striature, che non aveva neanche notato; erano rosse e violacee, ma nel buio i colori avevano perso la loro tinta. Dal silenzio disinteressato di prima era passata ad una loquacità invadente, ma ormai il dado era tratto e Luca non poteva più tirarsi indietro. Un altro whisky la rese più attraente e acuì il desiderio di averla tra le braccia, baciarle gli occhi, sentire il profumo della sua pelle. Quando la invitò ad uscire, acconsentì con un laconico: “Dove mi porti?” Giulia si mosse leggermente e tirò uno sbadiglio che sapeva ancora di birra. Luca si alzò e dopo una doccia preparò un caffè. - Quest’odore mi avvolge come una coperta, disse entrando in cucina ancora seminuda. Faccio una doccia e scappo. Luca giurò che non sarebbe più andato in quella discoteca. La domenica era rovinata. Avrebbe voluto scrivere qualcosa, fare una ricerca sulle teorie della formazione dell’universo per un nuovo articolo, preparare il programma della settimana, e invece cominciò a giocare al computer per svuotare la mente dai pensieri che lo rendevano irascibile e di umore nero. Giulia aveva lasciato un profumo dolciastro e il suo numero di telefono, ma non aveva nessuna intenzione di chiamarla e il profumo gli dava fastidio. Fece colazione e dopo aver giocato più di un’ora, decise infine di uscire per prendere un po’ d’aria. Camminava sul marciapiede speditamente,
come per allontanarsi il più possibile dal ricordo. Nel lato sud
della strada il sole batteva sulle pareti delle case e riusciva a trasferire
un po’ del suo calore all’aria fredda dell’inverno.
Meditava sul desiderio che si manifestava sempre con le stesse caratteristiche:
affascinato da un volto, da uno sguardo, persino da un sorriso, credeva
di trovare il grande amore ad ogni incontro. Adesso basta, si disse, e
per trovare nuove idee per i suoi saggi, che pubblicava in una rivista
di astrologia, decise di fare un viaggio nell’entroterra della Sicilia. |