IL GROVIGLIO
CAPITOLO 2
Ventisette febbraio 1971 - Il ghiaccio mortale
Vicino alla casa dove Mario aveva trascorso l’infanzia, c'era
una piccola chiesa con la facciata bianca e un campanile senza campane,
munito però di un potente sistema di altoparlanti che imitava,
probabilmente, il suono di una grande chiesa d’Italia. Aveva
un ampio sagrato dove i bambini in estate vi giocavano con una palla
e dei bastoni di hockey. Il parco, un poco più lontano, aveva
un pattinatoio per l'inverno e degli scivoli di plastica rossa e blu.
La casa era a due piani ed aveva un seminterrato per gli attrezzi.
La madre vi conservava ogni tipo di suppellettili: vasetti di marmellate,
vecchi abiti, scarpe, secondo la stagione, e un'infinità di
souvenir che i bambini non avevano il diritto di toccare. Quando i
genitori si assentavano, Mario dirigeva le sue cacce al tesoro che
provocavano spesso la collera della madre quando scopriva che mancava
qualcosa. Scendeva, seguito del piccolo fratello Michel, che non lo
lasciava mai; insieme giocavano con gli abiti ed i cappelli della
madre in divertenti imitazioni. Louise, La sorella più grande,
aveva dieci anni e si pavoneggiava davanti agli specchi senza prestare
attenzione ai due bricconi.
Il padre lavorava spesso fuori Montreal e si assentava per lunghi
periodi. Al suo ritorno, era la grande festa. Aveva sempre un regalo
per tutti: Mario, il preferito, riceveva un oggetto di hockey, Michel
un piccolo giocattolo, Louise della bigiotteria e la moglie una collana
o del trucco, perché era bella e civettuola. Non era una donna
che si atteneva strettamente alle tradizioni ma poteva essere eccessivamente
rigida in quanto alla disciplina dei bambini. Una volta, infatti,
quando Mario aveva l'età di 4 anni, per convincerlo a non fare
la pipì a letto, usò un modo poco ortodosso. Gli era
capitato parecchie volte di svegliarsi nel bel mezzo della notte mentre
sognava di essere in piena campagna e liberarsi della pipì
sotto un albero! All'imbarazzo si aggiunse la vergogna quando la buona
donna pensò di imporgli una punizione che le sembrò
appropriata ed esemplare: ordinò al bambino di svestirsi, fissò
un nastro rosa all'appendice che aveva causato il danno e lo legò
alla ringhiera all’entrata della casa.
Il povero bambino non seppe se piangere per rabbonire sua madre o
tacere per evitare di essere notato in quella posizione imbarazzante.
Non aveva paura di essere visto nudo, ma temeva che gli altri potessero
indovinare la ragione della punizione. Quel giorno restò impresso
nella
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sua memoria come uno dei peggiori della sua infanzia.
Un'altra volta, aveva dimenticato qualcosa al piano superiore, dove
erano situate le stanze da letto. Suo padre era ritornato dopo un'assenza
di una settimana e sua madre si era affrettata a mettere i bambini
fuori per accogliere il marito tra le sue braccia desiderose.
Mario l'aveva chiamata salendo le scale, ma nel bel mezzo dell'azione,
anche le orecchie più attente diventano sorde. Il piccolo salì
al secondo piano con circospezione, temendo che la madre fosse stata
colta da un malore. La porta della camera dei suoi genitori era aperta
e, senza il minimo sospetto, sbirciò dentro. Si accorse che
sua madre era sul letto a metà nuda e accoglieva il corpo di
suo padre. Rassicurato e senza sospettare il motivo di quelle effusioni,
prese quello che cercava e scese al piano inferiore. Il grido imperioso
della donna lo fece arrestare sulla porta. Lei lo raggiunse ancora
rossa di eccitazione e gli diede uno schiaffo senza alcuna spiegazione.
Mario non capì la ragione del gesto e pensò che sua
madre fosse diventata matta.
A parte le strane punizioni, la vita della famiglia si svolgeva pacificamente
nel quartiere dove si erano installati. Il luogo preferito dei due
ragazzi era abbastanza lontano dalla casa, sulla riva del fiume, davanti
ad un’altra isola. C’era un ponte di acciaio che collegava
le due isole e sorreggeva le rotaie del treno. Il rumore ritmato delle
ruote d’acciaio sui binari affascinava Mario che abbracciava
un pilastro per sentire le vibrazioni dell'enorme massa di acciaio.
In inverno, la sensazione era ancora più forte a causa della
rigidità del metallo freddo e del silenzio che la neve facilitava,
soprattutto dopo una tempesta, quando il tappeto di neve fresca attutiva
tutti i rumori.
L’undici febbraio 1971, una di quelle tempeste che paralizzano
tutte le attività della città, aveva coperto ogni cosa
con cinquantacinque centimetri di neve. Il vento l'aveva modellata
in enormi dune agli angoli delle vie e nei posti dove turbinava. Molte
auto erano state abbandonate nelle vie e la gente approfittava dell’occasione
per passare la giornata in casa a riposare o a commentare al telefono
la forza scatenata della natura. La tempesta aveva ritardato il ritorno
del padre che doveva arrivare dal Grande Nord, dove era rimasto sei
mesi. Il vento dell'est aveva fatto sparire le nuvole, ma aveva impedito
i lavori di sgombero della neve e ritardato i voli degli aerei. Il
padre arrivò il 27.
Il sole, dopo tanta neve, e l'arrivo del padre avevano reso euforica
tutta la famiglia: la madre pensava alle effusioni amorose di Roméo,
Mario aspettava dei nuovi pattini da ghiaccio, era già un abile
portiere, Michel che seguiva suo fratello come un'ombra, avrebbe avuto
delle scarpe in pelle
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di cervo fatte dagli indiani e Louise, che non voleva
mostrare il suo entusiasmo, sperava di ricevere una bella collana
che gli Inuits fanno con le ossa di balena. Ciascuno ebbe il regalo
che aspettava.
Dopo i primi momenti di festa, la madre mandò Louise da zia
Céline ed i bambini a giocare fuori con la neve per restare
sola col marito. Aveva raccomandato a Mario, che aveva 7 anni, di
fare attenzione al piccolo Michel, di 5 anni, e di ritornare dopo
un paio d’ore, a grande gioia dei due ragazzi. Potevano recarsi
al ponte della strada ferrata e saltare sul banco di neve che si accumulava
sotto ad ogni tempesta.
Mario aiutò il fratellino a mettere gli stivali e una giacca
a vento rossa, poi prese una corda dalla rimessa e si avviarono verso
il ponte.
Era difficile camminare sulla neve ma l'avventura che li aspettava
metteva loro le ali. Michel, attaccato ad una estremità della
corda, cadeva spesso e ne approfittava per raccogliere la neve, comprimerla
in una palla e tirarla al fratello. Giunti sul ponte si abbracciarono
e, insieme, si lanciarono nel vuoto per sprofondare nella neve fresca.
Il fiume era gelato quasi interamente. L'acqua era visibile solamente
nel mezzo, là dove la corrente era più forte. Mario
si rotolava sul banco di neve gridando di gioia, raggiungeva la superficie
ghiacciata e scivolava come se avesse ai piedi i pattini che suo padre
gli aveva appena regalato. Michel aveva preso coraggio e saltava da
solo dall’alto del ponte. Risaliva la pendenza dal lato sinistro,
camminava sulle traverse di acciaio fino al luogo del salto e dopo
un istante di esitazione si lanciava nel vuoto emettendo un grido.
Il treno era passato già due volte. Rallentava sul ponte e
si avanzava più lentamente che d’abitudine. Non erano
riusciti a risalire a tempo per provare a toccare l’enorme massa
d’acciaio mentre si muoveva. Michel decise di aspettarlo sui
binari al primo fischio che si sentiva quando partiva dalla stazione.
Mario aveva dimenticato l'avvertimento di sua madre e quando sentì
il rumore della locomotiva avvicinarsi al ponte, era steso sul ghiaccio
del fiume. Michel, tutto bianco di neve, era coricato sulla strada
ferrata e aspettava l'arrivo del treno. D’un tratto l’enorme
massa in movimento arrivò minacciosamente sul ponte. Mario
si accorse del pericolo che correva il fratello.
- Michel… Michel!
Il piccolo si alzò e lo guardò senza muoversi, incurante
del pericolo.
- Salta! Salta! urlava Mario correndo sul ghiaccio.
Michel provò ad avvicinarsi al bordo del ponte
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attraversando i binari, ma la stanchezza o la pesantezza
degli stivali lo fece cadere. Mario lo vide sparire e provò
disperatamente a risalire il pendio innevato. Il treno era oramai
vicino al piccolo. La locomotiva lo superò senza fermarsi.
L'orrore di trovare il fratello stritolato dalle ruote del treno gli
tolse il respiro e più si affannava a risalire il banco di
neve, più affondava in esso e i vestiti bagnati lo frenavano
con il loro peso diventato smisurato. Quando arrivò infine
sul ponte, il treno era già sparito. Seduto accanto al binario,
Michel gli sorrideva dicendo: "L'ho toccato"!
Mario si precipitò su di lui e lo sollevò per vedere
se era ancora tutto intero o se il treno l'avesse tagliato in due.
Poi la gioia e la rabbia si mischiarono nel suo cuore e non sapeva
più se doveva ridere o piangere. Baciò il piccolo e
gli disse che era stato cattivo, senza che questo si rendesse conto
del pericolo al quale si era esposto.
Il sole aveva attraversato buona parte del cielo e gli alberi gettavano
delle lunghe ombre sulle superfici innevate. Bisognava tornare a casa.
Per fare più presto, Mario legò Michel sotto le ascelle
e decise di prendere la via gelata del fiume. Il percorso sarebbe
stato più breve e meno faticoso; la neve non era stata tolta
ancora delle strade. Michel si sedeva sul ghiaccio e scivolava, trascinato
dal fratello che aveva ripreso l’entusiasmo dopo l'avventura
del treno. Talvolta saltellava, talvolta tirava la corda e si allontanava
senza timore verso il centro della superficie ghiacciata… Tornava
correndo rapidamente e spingeva Mario che l'accoglieva tra le braccia
per poi lanciarlo più lontano.
Ad un tratto tutto sembrò fuori dalla logica. Michel era sparito.
La corda cui era legato affondava in una terrificante fessura nel
ghiaccio, senza che Mario potesse aprirla. I suoi capelli si drizzarono
sulla testa, il suo stomaco ebbe delle convulsioni e voleva vomitare,
il suo cuore sembrava quello di come un cavallo impazzito. Le sue
mani erano aggrappate ad una corda che scivolava come fosse coperta
di grasso. Scivolava, scivolava, centimetro dopo centimetro. Una forza
terribile toglieva l'ultima speranza alla sua vita, gli strappava
il cuore, lo trasportava in un inferno di ghiaccio e di freddo. La
corda non c'era più, la fessura si era richiusa ed il silenzio
era sceso su tutte le cose: sulla superficie ghiacciata, sugli alberi
coperti di neve, sul ponte oramai nascosto dall’ansa e dalla
costa, sulla ferrovia dove il treno passava senza far rumore, e sul
suo cuore che sentiva sbriciolarsi. Gridava, ma nessuno poteva sentirlo,
le parole non uscivano dalla sua bocca. Il ghiaccio gli sembrò
trasparente e cercò la giacca a vento rossa. Doveva trovarla,
era ancora vicina, in balia della corrente sotto la superficie solida.
Aveva perso Michel al passaggio del treno, sulla
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ferrovia, ma era ritornato da lui, e come allora,
era convinto che lo avrebbe ritrovato a valle, un poco più
lontano, là dove il ghiaccio si accumulava dove c’era
una diga. Ma come raggiungerlo e riportarlo in vita? L’aria
che i suoi polmoni avevano imprigionato come quelli di Michel sotto
il ghiaccio, cercò una via d’uscita per invadere tutto
lo spazio che era restato silenzioso, ed un grande grido uscì
infine dalle sue labbra. "Micheeeeeel"! L’eco attraversò
l'orizzonte tutto intero, raggiunse le case intorno, senza essere
assorbito dalla neve fresca, né dalle mura delle abitazioni.
Tutti dovevano accorrere per salvare suo fratello, fare sciogliere
il ghiaccio, scavare buchi per riportarlo alla superficie. Una macchia
colorata apparve in fondo al fiume, provò a scavare con le
mani nude. Il ghiaccio era diventato più duro del cemento!
Ventisette febbraio 1971! Il mese più corto
dell'anno, quel giorno, si allungò su tutta la sua vita
La madre aveva guardato l'orologio sul muro della cucina: quattro
e trenta, ed i bambini non erano ancora tornati. Li aveva fatti uscire
alle undici ed aveva dimenticato completamente il pranzo; tra le braccia
del suo Roméo, aveva vissuto di nuovo la passione che l'aveva
bruciata al primo incontro, con la stessa intensità, forse
più forte, adesso che lui conosceva i punti più sensibili
del suo corpo. La lunga assenza aveva acceso un desiderio che la bruciava,
un fuoco che non aveva potuto spegnere. Aveva sognato più spesso
ultimamente i suoi caldi abbracci e i baci inebrianti. Di giorno sentiva
vibrare il sangue nelle tempie, aveva dei capogiri che doveva controllare
spruzzandosi spesso il viso con l'acqua fredda. Non appena i ragazzi
uscirono si gettò tra le braccia del marito e fecero l'amore
nel salone, urlando di piacere nei momenti più intensi, poi
salirono nella stanza da letto.
Esaurita nel corpo e felice nell'anima, era scesa in cucina ed aveva
guardato attraverso la finestra per vedere se i due bambini giocavano
nel sagrato della chiesa. La via era, però, deserta. Si avvicinò
al telefono per chiamare Céline. Lo squillo improvviso la fece
sobbalzare. Sollevò la cornetta e ascoltò frastornata.
Non era sua sorella. La Signora Proulx, che abitava vicino alla ferrovia,
cercava di spiegarle qualche cosa che non comprendeva. Michel non
c’era… Mario gridava… la gente correva al fiume.
Quando infine capì che Michel era scomparso sotto il ghiaccio
del fiume, dovette sedersi sulla sedia per evitare di cadere. Il sangue
sembrava avere smesso di circolare nelle vene e le forze le mancavano.
Pallida e respirando a fatica, mormorò "Roméo",
poi la disperazione fu più forte della paura e si sentì
urlare: "Micheeeel"!
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Uscì di corsa. Attraversò la strada, dove incontrò
le vicine che, spaventate la seguirono, altri guardavano dalle finestre
con occhi spalancati dall’orrore, gli uomini discutevano eccitati
dell'avvenimento. Non poteva credere che il suo Michel era annegato,
il suo bambino, la sua perla preziosa, il bambino più affettuoso,
quello che adorava e per il quale avrebbe lottato contro tutti i demoni
dell'inferno. Correva, cadeva sulla neve, si rialzava, riprendeva
la corsa e raggiunse le persone che si erano ammassate sulla riva
del fiume. Nessuno osò trattenerla e quando fu sul ghiaccio,
si arrestò incredula. Si girò attorno per cercare e
lo sguardo da ansioso divenne arrabbiato, pieno di collera e poi di
supplica. Vide Mario lontano dalla riva mentre martellava il ghiaccio
con i piccoli pugni. Michel non era vicino a lui! La giacca a vento
rossa era sparita. Lentamente si avvicinò al figlio come l'angelo
della vendetta e, senza gridare, con un tono dolciastro che non era
la sua voce naturale, gli chiese:
- Dove hai nascosto mio figlio? Poi tutta la sua rabbia esplose –
Tuuu! non hai finito con meee! e lo minacciò con l'indice.
Il ragazzo sollevò la testa, incapace di comprendere i sentimenti
che agitavano sua madre. Sentiva un uragano nelle orecchie e non comprendeva
perché sua madre chiedeva di Michel. Michel era sul ponte,
il treno non l'aveva sfiorato, era ancora tutto intero e poteva giurarlo
perché l'aveva stretto tra le braccia mentre rideva. Diceva
di aver toccato il treno. Si ricordò della giacca a vento rossa
che aveva visto sotto il ghiaccio e ricominciò a grattare la
superficie con le sue dita gelate che non avevano più nessuna
sensazione; erano dure ed inerti come il legno. Qualcuno provò
a sollevarlo, ma urlò come un forsennato. Ricadde sul ghiaccio
e, piegato sulle ginocchia, girava in cerchi senza parlare, puliva
con le mani la superficie coperta di neve, sorpreso di non trovare
ciò che cercava; si spostava e continuava il suo sforzo accanito
senza tregua. Era anche lui diventato prigioniero del ghiaccio come
Michel. La madre corse verso il centro, dove l'acqua scorreva nera
e fredda in una striscia che divideva il ghiaccio in due.
Ventisette febbraio 1971! Il giorno in cui tutto si trasformò!
Roméo aveva sentito le grida della moglie. Si era vestito rapidamente
ed era sceso in cucina. Il telefono era staccato. Lo sollevò;
qualcuno parlava ancora. La Signora Proulx non aveva capito che Huguette
era corsa fuori e cercava di confortarla:
- Huguette, non preoccuparti; sono tutti al fiume e ritroveranno certamente
vostro figlio.
- Mario? esclamò Roméo. Che cosa è successo?
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- Signor Roméo, che disgrazia, non si tratta di vostro figli
Mario. Michel… e la sua voce si spense in un singhiozzo.
Roméo restò silenzioso, doveva calmarsi. Era necessario
acquistare la padronanza di se. Era sceso nelle viscere più
profonde della terra, aveva corso dei pericoli molto grandi e li aveva
sempre superati. Adesso avrebbe saputo trovare la soluzione a questo
inaspettato problema. Un incidente era arrivato a suo figlio Michel;
doveva prendere in mano la situazione come un buon padre di famiglia.
- Michel è sparito nel fiume… sotto il ghiaccio!
Un vuoto allo stomaco lo colpì come un pugno. Riattaccò
lentamente l'apparecchio, poi, svegliato bruscamente alla realtà,
uscì correndo da casa. Alcuni minuti più tardi, era
sotto il ponte dove un gruppo di sei o sette donne discuteva. Sul
ghiaccio del fiume parecchi uomini cercavano, camminavano, correvano.
Vicino all'acqua, e in pericolo di sprofondare, c’era Huguette;
Mario grattava ancora la superficie. Si avvicinò ai due correndo,
prese il figlio tra le braccia, poi la mano della sua donna e li fece
allontanare.
Ventisette febbraio 1971! Una giornata infernale!
Louise aveva visto zia Céline impallidire mentre ascoltava
il telefono, qualcuno gli aveva dato una cattiva notizia!
- Che c'è, zia?
- Sembra che Michel sia scomparso nel fiume! Gridò e cominciò
a piangere mentre si vestiva per uscire.
Louise era già fuori e cercava di correre sulla superficie
soffice della neve. Cadde parecchie volte. I capelli biondi e ricci
cui teneva molto, erano bagnati e disfatti. Suo fratello Michel, il
bambino più bello, quello che sorrideva sempre e metteva tutti
di buonumore, era annegato. Correva, correva, correva, ma aveva l'impressione
di restare sempre nello stesso posto. La maledetta neve le impediva
di raggiungere il piccolo per salvarlo, perché lei l'avrebbe
potuto salvarlo certamente! L'amava troppo per non essere capace!
Doveva arrivare al fiume prima che annegasse!
Raggiunse infine la madre e il fratello: Huguette piangeva, attorniata
dalle vicine, Mario, guardava nel vuoto, rinchiuso in un mondo che
non avrebbe mai potuto raggiungere. Si avvicinò a lui senza
parlare e lo baciò piangendo. Lo strinse forte e in quella
stretta immaginava anche Michel, il fratello che amava tanto. Mario
rimaneva immobile, le spalle e le braccia pesanti, sordo ai rumori
che martellavano le sue orecchie, incapace di pensare.
Ventisette febbraio 1971! Il salto dalla luce dell'infanzia all’oscurità
della morte!